Il governo raddoppia i fondi per il Decreto Aiuti e prevede un bonus da 200 euro per redditi fino a 35mila euro: provvedimenti tesi al silenziamento sociale e non all’economia del benessere.
È sicuramente la misura più eclatante e “imprevista” del nuovo Decreto Aiuti varato qualche giorno fa dal Governo Draghi e illustrato in una lunga conferenza stampa dal Presidente con molti ministri responsabili delle varie misure.
Il provvedimento in oggetto, però, sembra ridurre al silenzio il disagio economico sociale dei circa 28.000 destinatari.
Questo metodo, infatti, pesca nel passato e ci riporta alla filosofia economica di sinistra (e per certi versi estrema) raccontata dall’economista Federico Caffè, scomparso in circostanze misteriose ed ancora irrisolte all’alba del 15 aprile 1987.
L’adeguamento all’inflazione delle pensioni si chiamava “indicizzazione”, l’adeguamento all’inflazione degli stipendi “scala mobile”, oggi abbiamo i “lavoratori autonomi”, categoria mai considerata dalla sinistra.
Nel passato questi provvedimenti di adeguamento sommavano sui salari ed erano a carico del “padrone”, oggi il meccanismo è lo stesso: i provvedimenti sono a carico dello Stato e della fiscalità generale.
È un segnale che per tutti il datore di lavoro sia lo Stato?
Se si considerano i pensionati ed i dipendenti statali, i lavoratori di aziende cd “provate” sono certamente la minoranza e, considerati la nuova categoria dei “lavoratori autonomi”, questa rispolverata impostazione filosofica/economica non sembra essere poi così lontana.
Stiamo assistendo, in buona sostanza, ad un welfare state che ritorna al passato.
Oggi per la politica è necessario non corrompere la già inesistente dialettica politica e provocare politiche antisociali, il disagio sociale è notevole e tutte le parti politiche hanno l’interesse immediato e sotteso di “silenziare” il dissenso con risibili interventi di aiuto (quali i 200 euro di aiuto) che, in realtà, coprono appena l’inflazione reale su un imponibile di € 3.333,33 in percentuale del 6%.
Nel 1985 questi metodi furono cancellati dalla politica in ragione delle gravi conseguenze nei confronti della filosofia economica nuova, e oggi non si può pensare di ripristinare lo stato sociale eliminando il “disequilibrio sociale” attraverso l’intervento pubblico a carico della fiscalità generale a carico del padrone.
Negli anni 80 e 90 lo strumento economico della “scala mobile” era a carico delle imprese e queste dovevano necessariamente procedere all’aumento dei prezzi contribuendo, a loro volta, a formare ulteriore inflazione e perdita del potere di acquisto dei salari.
Ora come allora.
Lo Stato non può farsi carico di tali provvedimenti all’infinito e ciò comporterà – non v’è dubbio – l’inevitabile aumento della pressione fiscale con ripercussioni drammatiche per le imprese (costrette a chiudere), per i lavoratori (senza salario), i pensionati (senza pensioni) e i lavoratori autonomi senza azienda e senza alcun welfare sociale: in una parola il CAOS!
È necessario un ritorno al dialogo vero della politica, ad una programmazione a medio e lungo termine nell’interesse dei cittadini e della Nazione in un contesto europeo e mondiale a tutto tondo, senza limitarsi ad una gestione maldestra che vede solo al breve periodo e che sa, come già detto, di silenziamento sociale.
Si deve puntare alla riduzione del costo del lavoro, stabilendo fin d’ora che un eventuale ritorno alla “scala mobile” dovrà essere completamente esente da contributi a carico delle imprese e dei lavoratori, senza assoggettamento ad IRPEF e con il riconoscimento di un modesto credito percentuale in favore delle imprese.
A parere di chi scrive, la formula ideale potrebbe essere la “sterilizzazione delle retribuzioni” previste dai contratti di lavoro, prevedendo l’esenzione da contribuzione e tassazione per eventuali rinnovi contrattuali (e possibili aiuti in forma occulta di scala mobile) con il conseguente aumento ad esclusivo vantaggio dei lavoratori; ciò perché tutti sappiamo che se vi è un aumento di 100 sulle retribuzioni, al lavoratore spetta 49 mentre all’Erario – in varie forme – 101.
L’adozione di questo sistema renderebbe la politica libera da interessi di parte, consentirebbe l’aumento dei salari, delle entrate fiscale e delle entrate previdenziali e comporterebbe un immediato benessere sociale senza il subdolo strumento del “silenziamento sociale” al quale, purtroppo, da ormai troppo tempo siamo abituati.
Mauro D’Ambrogio