Lavoro e AI: le dieci professioni che (forse) potrebbero essere sostituite.

In Italia 6 milioni di lavoratori rischiano di essere rimpiazzati completamente, mentre altri 9 milioni dovranno integrare l’Ia nelle loro mansioni quotidiane.
L’intelligenza artificiale sta cambiando radicalmente il mondo del lavoro e, secondo uno studio Censis-Confcooperative, il suo impatto nei prossimi dieci anni sarà enorme. Entro il 2035, ben 15 milioni di lavoratori italiani saranno coinvolti in questa trasformazione: 6 milioni rischiano di essere sostituiti completamente, mentre altri 9 milioni dovranno integrare l’Ia nelle loro mansioni quotidiane.
C’è una evidente correlazione tra livello di istruzione ed esposizione al rischio: più è alto il grado di studi, maggiore è la probabilità di essere sostituiti o dover adattare il proprio lavoro all’Intelligenza artificiale. Questo fattore penalizza in particolare le donne, accentuando ulteriormente il gender gap nel mercato del lavoro.
Le professioni più esposte (e quelle che resistono)
Le categorie professionali più a rischio nei prossimi dieci anni sono quelle intellettuali automatizzabili. Ai primi posti troviamo matematici, contabili, tecnici della gestione finanziaria, tecnici statistici, esperti in calligrafia, economi e tesorieri. Seguono periti, valutatori di rischio e liquidatori, tecnici del lavoro bancario, specialisti della gestione e del controllo delle imprese private e pubbliche.
Dall’altro lato, alcune figure professionali emergono come altamente complementari all’Intelligenza artificiale. Tra queste spiccano direttori e dirigenti della finanza ed amministrazione, direttori e dirigenti dell’organizzazione, gestione delle risorse umane e delle relazioni industriali, notai, avvocati, esperti legali in enti pubblici, magistrati, specialisti in sistemi economici, psicologi clinici e psicoterapeuti, archeologi, specialisti in discipline religiose.
A livello europeo, l’Italia mostra un ritardo significativo nell’adozione dell’Intelligenza artificiale. Nel 2024, solo l’8,2% delle imprese italiane utilizza sistemi di Ia, contro il 13,5% della media Ue. Siamo ben distanti dal 19,7% della Germania e anche sotto Spagna (11,3%) e Francia (9,91%). Questo gap è particolarmente evidente nei settori del commercio e della manifattura, dove il nostro tessuto produttivo, caratterizzato da molte piccole e medie imprese, fatica ad adottare nuove tecnologie.
Ma l’Ia non porta solo minacce: il suo impiego potrebbe aumentare la produttività e contribuire alla crescita del Pil, stimata fino a 38 miliardi di euro nei prossimi dieci anni (+1,8%).
L’uso dell’Intelligenza artificiale sul posto di lavoro è già una realtà per molti lavoratori italiani. Il 23,3% la utilizza per la scrittura di e-mail, il 24,6% per i messaggi, il 25% per la redazione di report e il 18,5% per la creazione di curricula. I giovani (18-34 anni) sono i più propensi a sfruttare queste tecnologie: il 35,8% di loro utilizza l’Ia per scrivere report, rispetto al 23,5% degli over 45.
Noi riteniamo che l’AI non sarà un sostituto del lavoro umano, ma un potente alleato in grado di migliorare produttività, creatività e qualità in numerosi settori.
Uno dei principali vantaggi dell’AI, ad esempio, è l’automazione delle attività ripetitive e a basso valore aggiunto; processi come l’inserimento dati, la gestione delle e-mail o il controllo qualità possono essere eseguiti con maggiore velocità e precisione, permettendo ai lavoratori di concentrarsi su compiti più strategici e creativi.
Stesso discorso può valere in ambito medico e scientifico, ma fondamentale è l’uso etico che si fa dell’AI, con un approccio che valorizzi il contributo umano anziché sostituirlo.
Ci auguriamo che il futuro del lavoro non sarà un duello tra uomo e macchina, ma una collaborazione sempre più efficace per migliorare la qualità della vita e dell’innovazione.
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